Conosciuto come materiale da scarifica stradale, costituito in parte da inerti ed in parte da bitume, accende continue diatribe sulla relativa qualificazione giuridica: rifiuto o sottoprodotto?
Sebbene non sia annoverato tra le tipologie espressamente escluse dal campo di applicazione ex art. 185, l’evoluzione giuridica conduce verso la strada del sottoprodotto, ferme restando le condizioni poste dall’art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006, che dovranno essere verificate e dimostrate prima di porre in essere l’attività di scarifica, non rispettando le quali si resta nella sfera giuridica del “rifiuto”.
Da tale preambolo, ne consegue che, le due strade percorribili impongono, comunque, il rigoroso rispetto delle disposizioni normative, l’una dettata dagli artt. 214 e 216 del D.Lgs 152/2006 coordinato con il D.M. 05/02/1998 All. 1, Sub. 1, Punto di Recupero 7.6 (se il recupero è autorizzato in procedura semplificata), l’altra dalle condicio sine qua nonche l’art. 184-bis impone affinché si possa considerare sottoprodotto e non rifiuto.
Nello specifico il 7.6 dell’All.1 al DM 05/02/1998 dispone:
7.6. Tipologia: conglomerato bituminoso, frammenti di piattelli per il tiro al volo [170301] [200301].
7.6.1. Provenienza: attività di scarifica del manto stradale mediante fresatura a freddo; campi di tiro al volo.
7.6.2. Caratteristiche del rifiuto: rifiuto solido costituito da bitume ed inerti.
7.6.3. Attività di recupero:
a) produzione conglomerato bituminoso “vergine” a caldo e a freddo [R5];
b) realizzazione di rilevati e sottofondi stradali (il recupero è subordinato all’esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al presente decreto) [R5];
c) produzione di materiale per costruzioni stradali e piazzali industriali mediante selezione preventiva (macinazione, vagliatura, separazione delle frazioni indesiderate, eventuale miscelazione con materia inerte vergine) con eluato conforme al test di cessione secondo il metodo in allegato 3 al presente decreto [R5].
7.6.4. Caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti:
a) conglomerato bituminoso nelle forme usualmente commercializzate;
b) materiali per costruzioni nelle forme usualmente commercializzate.
Ad esse devono aggiungersi le diposizioni di cui agli articoli del D.M. 05/02/1998, relativamente alla messa in riserva, alla quantità impiegabile, al test di cessione, alle propedeutiche autorizzazioni amministrativo-urbanistiche, ecc…
Le distinte attività di recupero contemplate al Punto 7.6.3, prevedono delle preventive attività di trattamento e predisposizione del rifiuto alle oggettive ed effettive attività di recupero, quali la macinazione, vagliatura, separazione delle frazioni estranee ed eventuale miscelazione con materia inerte vergine, anche se specificatamente previsto per la sola attività di “produzione di materiale per costruzioni stradali e piazzali industriali”, la macinazione, vagliatura e separazione delle frazioni estranee, si rendono indispensabili anche per le attività di: a) produzione conglomerato bituminoso “vergine” a caldo e a freddo [R5]; b) realizzazione di rilevati e sottofondi stradali [R5].
Se stabile, l’impianto dovrà essere autorizzato dalla Provincia competente per territorio , se invece si tratta di un impianto mobile dovrà essere autorizzato dalla Regione dove la ditta ha sede legale.
L’annoso e irrisolto problema della nozione giuridica di rifiuto – non rifiuto, ha investito anche il fresato di asfalto, così come qualsiasi scarto di produzione o residuo di lavorazione;
naturalmente, il primo quesito che dovremmo porci è: il materiale/bene/sostanza “fresato di asfalto” è destinata ad una attività di recupero o di smaltimento, ovvero ricorrono le condizioni poste dalla definizione di rifiuto? Se disfarsi vuol dire destinare ad operazioni di smaltimento o di recupero, tutto ciò che è destinato a tali operazioni assume la qualificazione giuridica di rifiuto, solo e semplicemente perché ce ne stiamo disfacendo, quindi dovremmo verificare innanzitutto se la l’attività a cui stiamo destinando il fresato di asfalto ricade o meno tra le attività contemplate negli allegati B e C alla Parte IV del T.U.A. , non ricorrendo le quali, il fresato di asfalto non è rifiuto, ma, comunque, affinché possa qualificarsi sottoprodotto devono verificarsi le condizioni poste dall’art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006 (inserito dall’art. 12 del D.Lgs. n. 205/2010): E’ un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:
a) La sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) È certo che la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) La sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) L’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
Cosa assai ardua e complessa è proprio constatare il verificarsi delle condizioni sopra elencate, al riguardo, la dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di rappresentare ed interpretare al meglio quanto posto dalla norma, ma, purtroppo, ad oggi non si hanno delle posizioni unitarie, naturalmente a danno degli operatori, i quali devono affrontare giornalmente il problema nell’incertezza della corretta osservanza della norma e soprattutto se, non qualificando il fresato di asfalto come “rifiuto” ma “sottoprodotto”, siano state rispettate tutte le condizioni poste.
Conferma di tali osservazioni si hanno dalla sentenza della Cassazione, Sezione 3 penale, n. 7374 del 24 febbraio 2012, nella quale si contesta all’imputato il reato di cui all’art. 256, comma 1, lettera a), D.Lgs. 152/2006, per aver effettuato attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi, costituito da fresato di asfalto, “utilizzandolo nel processo produttivo di conglomerato bituminoso, in assenza di autorizzazione, il giudice escluse che si trattasse di sottoprodotto in quanto lo scarificato del manto stradale subiva un processo di trasformazione e trattamento per la produzione di conglomerato bituminoso” .
La Suprema Corte non accoglie il ricorso ritenendolo infondato, ribadendo che, non ricorrevano le condizioni poste dal citato art. 184-bis, considerando il fresato di asfalto “rifiuto” per averlo sottoposto a propedeutiche “operazioni di recupero… e che erano necessarie ulteriori trasformazioni e trattamenti, tramite apposito impianto … prima di essere immesso nella produzione di ulteriore conglomerato bituminoso vergine”; continua la S.C. che, “anche qualora questo ulteriore trattamento non fosse diverso dalla normale pratica industriale, … non sussiste comunque il requisito della lettera a), perché non si tratta di sostanza o di oggetto originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante.”
… A questo punto si riapre la diatriba, urge un’interpretazione autentica della norma!
A cura di Luca D’Alessandris
fonte http://www.ambiente.it/informazione/focus-on/fresato-di-asfalto-rifiuto-o-sottoprodotto-la-storia-continua/