Archivio mensile 6 Ottobre 2012

DiGiovanna Di Mauro

Il nuovo registro delle persone e delle imprese che operano su impianti contenenti gas fluororati

Il 12 ottobre a Milano si terrà un seminario operativo, organizzato da Eco-Nomos, dedicato al tema: “Il nuovo Registro delle persone e delle imprese che operano su impianti contenenti gas fluorurati”.
Tra poche settimane entrerà in funzione un Registro telematico nazionale delle persone e delle imprese certificate per operare su impianti e apparecchiature che contengono gas fluorurati ad effetto serra.
Al Registro, istituito dal D.P.R. 27 gennaio 2012 n. 43, dovranno obbligatoriamente iscriversi entro 60 giorni quanti svolgono attività: di controllo delle perdite, di recupero dei gas, di installazione o manutenzione di impianti di refrigerazione, di condizionamento e di pompe di calore; di installazione o manutenzione impianti antincendio ed estintori; di recupero dei gas presenti nei commutatori ad alta tensione; di recupero solventi a base di gas fluorurati; di recupero dei gas utilizzati negli impianti di condizionamento di veicoli a motore.
L’iscrizione al Registro è una precondizione indispensabile per lo svolgimento delle attivitàindicate e un presupposto necessario per ottenere i certificati e gli attestati (il cosiddetto “patentino del frigorista”). Le persone e le imprese che non otterranno il certificato o l’attestazione per comprovare l’avvenuta formazione specialistica relativa agli impianti e alle attrezzature contenenti gas fluorurati non potranno più operare nel settore. Un decreto ministeriale in fase di approvazione prevede pesanti sanzioni per le persone e le imprese che non rispetteranno il nuovo obbligo.
Il seminario sarà caratterizzato da un’impostazione operativa finalizzata alla soluzione dei concreti problemi di gestione. A tutti i partecipanti al seminario verrà rilasciato un attestato di partecipazione valido per ottenere la qualifica di Esperto Ambientale Certificato.
Il seminario si terrà presso il Novotel Milano Nord Ca’ Granda dalle ore 14.15.
Per informazioni sulle iscrizioni, visitare il sito di Eco-Nomos.
V.R.
fonte http://www.tecnici.it/Il-nuovo-registro-delle-persone-e-delle-imprese-che-operano-su-impianti-contenenti-gas-fluororati_eventi_x_2878.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter_tecnici_35_03_10_2012

DiGiovanna Di Mauro

PMI con certificazione ambientale

Il Ministero dell’Ambiente eroga contributi alle piccole e medie imprese che hanno conseguito la certificazione dei sistemi di gestione ambientale in base alle norme ISO 14001 o EMAS.

Beneficiari
Possono richiedere il contributo le piccole e medie imprese industriali e di servizi, ad esclusione di quelle appartenenti ai settori: agroalimentare di prima trasformazione, pesca e acquacoltura.
Costi finanziabili
Il contributo viene erogato – a consuntivo – a fronte dei costi sostenuti per servizi di consulenza relativi ad una delle seguenti finalità:
1) verifica e registrazione dell’organizzazione ai sensi del Regolamento EMAS;
2) certificazione del Sistema di Gestione Ambientale ai sensi della norma internazionale UNI EN ISO 14001;
3) verifica e registrazione EMAS di organizzazioni già certificate ai sensi della norma internazionale UNI EN ISO 14001.
Sono ammissibili al contributo le spese relative alle seguenti prestazioni:
a) consulenza finalizzata alla definizione/progettazione del Sistema di Gestione Ambientale;
b) ente di verifica e di certificazione;
c) realizzazione delle indagini finalizzate all’analisi ambientale iniziale (ad esempio: analisi delle emissioni, analisi degli scarichi, carotaggi, analisi fonometriche).
d) formazione specifica, sia per gli addetti dell’impresa sia per il responsabile del Sistema di Gestione Ambientale;
e) comunicazione ambientale: diffusione della politica/dichiarazione ambientale (in caso di EMAS), comunicazioni con le Istituzioni, la comunità locale e le realtà produttive relativamente al riconoscimento ottenuto, realizzazione di un’area ambientale del sito internet.
Contributi
I contributi vengono concessi nelle seguenti misure:
– Piccole imprese
tipologia di intervento 1): 80% della spesa (contributo massimo 15.000 euro);
tipologia di intervento 2): 40% della spesa (max 7.500 euro);
tipologia di intervento 3): 80% della spesa (max 7.500 euro).
– Medie imprese
tipologia di intervento 1): 75% della spesa (max 30.000 euro);
tipologia di intervento 2): 40% della spesa (max 16.000 euro);
tipologia di intervento 3): 75% della spesa (max 7.500 euro).
Presentazione delle domande
Le domande di contributo, con i relativi allegati, devono essere inoltrate al Ministero dell’Ambiente sia in formato cartaceo, sia su supporto elettronico (scansione della documentazione cartacea).
Le domande verranno esaminate, entro il termine di 60 giorni dal ricevimento,“nel rispetto dell’ordine cronologico di spedizione“.
Conclusa la fase istruttoria, il Ministero ne comunicherà l’esito alle aziende ed emanerà i decreti di liquidazione del contributo ai beneficiari.
Il Ministero si riserva di comunicare attraverso il proprio sito web l’eventuale esaurimento delle risorse disponibili.
Secondo quanto riportato sul sito, alla data del 1° settembre risultavano disponibili 2 milioni di euro.
Tutte le informazioni nel sito del Ministero http://www.minambiente.it/home_it/menu.html?mp=/menu/menu_attivita/&m=argomenti.html|Sviluppo_sostenibile__SvS_.html|Incentivi_per_le_certificazioni_delle_PM.html
Il decreto è invece visibile a questo linkhttp://www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/normativa/dd_26_04_2012_313.pdf
Fonte: www.confindustria.venezia.it
fonte http://www.ambiente.it/informazione/notizie/pmi-con-certificazione-ambientale/

DiGiovanna Di Mauro

Le acque meteoriche di dilavamento delle aree esterne

Considerata la delega alle Regioni prevista dall’art. 113, D.Lgs. 152/2006, delle acque meteoriche di dilavamento non si ha una definizione unitaria, dal T.U.A. si desume però una esclusione dalla definizione di “acque reflue industriali”  ex art. 74 rubricato – Definizioni – al cui comma 1, lett. h) le definisce : «qualsiasi tipo di acque scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento».

Certa è anche l’inclusione delle stesse alla definizione di “acque reflue urbane” ex art. 74, comma 1, lett. i), qualora«…acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate…», che, nella combinata previsione dell’art. 113, comma 1, lett. b) possono essere sottoposte a «particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione».
A titolo esemplificativo si riportano alcune definizioni date dalle diverse Regioni di “acque meteoriche di dilavamento”:
Regione Puglia: «Le acque di pioggia che precipitano sull’intera superficie impermeabilizzata scolante afferente allo scarico o all’immissione».
Regione Lombardia: «La parte delle acque di una precipitazione atmosferica che, non assorbita o evaporata, dilava le superfici scolanti».
Regione Umbria: «La parte delle acque di una precipitazione atmosferica che, non assorbita o evaporata, dilava le superfici scolanti».
Le acque meteoriche di dilavamento sono distinte tra acque di prima pioggia e acque di seconda pioggia, la definizione relativa alle acque di prima pioggia varia anch’essa da Regione a Regione, dalle quali se ne estrapolano alcune:
Regione Toscana: Legge Regionale 10 ottobre 2011, n. 50 – Art.2Definizioni lett. g) acque meteoriche di prima pioggia (AMPP): «acque corrispondenti, per ogni evento meteorico, ad una precipitazione di cinque millimetri uniformemente distribuita sull’intera superficie scolante servita dalla rete di drenaggio; ai fini del calcolo delle portate si stabilisce che tale valore si verifichi in quindici minuti; i coefficienti di deflusso si assumono pari ad 1 per le superficie coperte, lastricate od impermeabilizzate ed a 0,3 per quelle permeabili di qualsiasi tipo, escludendo dal computo le superfici coltivate; si considerano eventi meteorici distinti quelli che si succedono a distanza di quarantotto ore».
Regione  Veneto:  D.G.R. n. 842 del 15/5/ 2012 – Allegato DArt. 6, comma1, lett. d) acque di prima pioggia«i primi 5 mm di acqua meteorica di dilavamento uniformemente distribuita su tutta la superficie scolante servita dal sistema di collettamento».
Regione Emilia Romagna: D.G.R. 14 febbraio 2005, n. 286 Art. 2 comma V. – Acqua di prima pioggia«i primi 2,5 – 5 mm. di acqua meteorica di dilavamento uniformemente distribuita su tutta la superficie scolante servita dal sistema di drenaggio. Per il calcolo delle relative portate si assume che tale valore si verifichi in un periodo di tempo di 15 minuti; i coefficienti di afflusso alla rete si considerano pari ad 1 per le superfici lastricate od impermeabilizzate. Restano escluse dal computo suddetto le superfici eventualmente coltivate».
Come disciplinato dal T.U.A, Art. 113, comma 2: «Le acque meteoriche non disciplinate ai sensi del comma 1 non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dalla Parte Terza del presente decreto», ovvero se non esplicitamente disciplinate nei Piani di Tutela delle Acque (P.T.A.) sono escluse dalla normativa sugli scarichi, non sono soggette ad autorizzazione tantomeno sottoposte a prescrizioni.
L’ art. 113, comma 1, D.Lgs. 152/2006, prevede che le Regioni devono disciplinare ed attuare esclusivamente:
« a) Le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate;
b) I casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione».
Le acque sottoposte alla disciplina dei sopra richiamati punti a) e b) sono sottoposti alla normativa sugli scarichi, alla stessa stregua degli scarichi industriali.
Al di fuori di queste ipotesi giuridiche, le acque meteoriche di dilavamento e di prima pioggia, sono di principio escluse dalla normativa sugli scarichi.
L’esclusione non è però assoluta, così come previsto dall’art. 113, comma 3, D.Lgs. 152/2006 e confermato dalla giurisprudenza, le acque meteoriche che prima di dilavare le superfici esterne e recapitare nei corpi ricettori vengono (o sono a rischio di venire) a contatto con sostanze e materiali inquinanti ivi depositati o per attività svolte all’aperto nelle dette aree esterne, ricadenti nella lista delle attività “a rischio” definite dalle Regioni attraverso i Piani di Tutela delle Acque o specifici Regolamenti, devono essere sottoposte ad idoneo trattamento previa autorizzazione rilasciata dalla Provincia.
I settori e le attività commerciali, artigianali ed industriali che generalmente sono considerate “a rischio” dai PTA Regionali, e per le quali è necessario preventivamente trattare ed autorizzare le acque di dilavamento delle aree esterne sono:

  • Industria petrolifera;
  • Industria chimica;
  • Impianti di trattamento e rivestimento superficiale dei metalli;
  • Stazioni e distribuzione di carburante;
  • Autofficine;
  • Autocarrozzerie;
  • Autolavaggi;
  • Impianti di trattamento e rottamazione veicoli;
  • Depositi rottami ferrosi e non;
  • Depositi rifiuti, centri di raccolta, centri di trattamento e stoccaggio rifiuti.

Diversi Regolamenti Regionali e/o Piani di Tutela delle Acque prevedono esplicite esclusioni dalla normativa sugli scarichi per le acque meteoriche di dilavamento dei piazzali impermeabili destinati ad esclusivo parcheggio o transito di automezzi,  ancorché le aree interessate riguardano imprese svolgenti le attività sopra descritte.
Tale esclusione trova giustificazione nella limitata pericolosità, dall’occasionalità di inquinamento, da limitazioni alla superficie (1000 o 2000 m²) adibita a parcheggio automezzi e dalla limitata quantità di sostanze pericolose (costituite principalmente da oli ed idrocarburi) che gli automezzi possono rilasciare sul pavimento e successivamente trasportate dalle acque meteoriche per effetto del dilavamento della superficie impermeabile.
A cura di Luca D’Alessandris
fonte http://www.ambiente.it/informazione/focus-on/le-acque-meteoriche-di-dilavamento-delle-aree-esterne/

DiGiovanna Di Mauro

Fresato di asfalto: rifiuto o sottoprodotto… la storia continua

Conosciuto come materiale da scarifica stradale, costituito in parte da inerti ed in parte da bitume, accende continue diatribe sulla relativa qualificazione giuridica: rifiuto o sottoprodotto?

Sebbene non sia annoverato tra le tipologie espressamente escluse dal campo di applicazione ex art. 185, l’evoluzione giuridica conduce verso la strada del sottoprodotto, ferme restando le condizioni poste dall’art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006, che dovranno essere verificate e dimostrate prima di porre in essere l’attività di scarifica, non rispettando le quali si resta nella sfera giuridica del “rifiuto”.
Da tale preambolo, ne consegue che, le due strade percorribili impongono, comunque, il rigoroso rispetto delle disposizioni normative, l’una dettata dagli artt. 214 e 216 del D.Lgs 152/2006 coordinato con il D.M. 05/02/1998 All. 1, Sub. 1, Punto di Recupero 7.6 (se il recupero è autorizzato in procedura semplificata),  l’altra dalle condicio sine qua nonche l’art. 184-bis impone affinché si possa considerare sottoprodotto e non rifiuto.
Nello specifico il 7.6 dell’All.1 al DM 05/02/1998 dispone:
7.6. Tipologia: conglomerato bituminoso, frammenti di piattelli per il tiro al volo [170301] [200301].
7.6.1. Provenienza: attività di scarifica del manto stradale mediante fresatura a freddo; campi di tiro al volo.
7.6.2. Caratteristiche del rifiuto: rifiuto solido costituito da bitume ed inerti.
7.6.3. Attività di recupero:
a) produzione conglomerato bituminoso “vergine” a caldo e a freddo [R5];
b) realizzazione di rilevati e sottofondi stradali (il recupero è subordinato all’esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al presente decreto) [R5];
c) produzione di materiale per costruzioni stradali e piazzali industriali mediante selezione preventiva (macinazione, vagliatura, separazione delle frazioni indesiderate, eventuale miscelazione con materia inerte vergine) con eluato conforme al test di cessione secondo il metodo in allegato 3 al presente decreto [R5].
7.6.4. Caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti:
a) conglomerato bituminoso nelle forme usualmente commercializzate;
b) materiali per costruzioni nelle forme usualmente commercializzate.
Ad esse devono aggiungersi le diposizioni di cui agli articoli del D.M. 05/02/1998, relativamente alla messa in riserva, alla quantità impiegabile, al test di cessione, alle propedeutiche autorizzazioni amministrativo-urbanistiche, ecc…
Le distinte attività di recupero contemplate al Punto 7.6.3, prevedono delle preventive attività di trattamento e predisposizione del rifiuto alle oggettive ed effettive attività di recupero, quali la macinazione, vagliatura, separazione delle frazioni estranee ed eventuale miscelazione con materia inerte vergine, anche se specificatamente previsto per la sola attività di “produzione di materiale per costruzioni stradali e piazzali industriali”, la macinazione, vagliatura e separazione delle frazioni estranee, si rendono indispensabili anche per le attività di:  a) produzione conglomerato bituminoso “vergine” a caldo e a freddo [R5];  b) realizzazione di rilevati e sottofondi stradali [R5].
Se stabile, l’impianto dovrà essere autorizzato dalla Provincia competente per territorio , se invece si tratta di un impianto mobile dovrà essere autorizzato dalla Regione dove la ditta ha sede legale.
L’annoso e irrisolto problema della nozione giuridica di rifiuto – non rifiuto, ha investito anche il fresato di asfalto, così come qualsiasi scarto di produzione o residuo di lavorazione;
naturalmente, il primo quesito che dovremmo porci è: il materiale/bene/sostanza  “fresato di asfalto” è destinata ad una attività di recupero o di smaltimento, ovvero ricorrono le condizioni poste dalla definizione di rifiuto? Se disfarsi vuol dire destinare ad operazioni di smaltimento o di recupero, tutto ciò che è destinato a tali operazioni assume la qualificazione giuridica di rifiuto, solo e semplicemente perché ce ne stiamo disfacendo, quindi dovremmo verificare innanzitutto se la l’attività a cui stiamo destinando il fresato di asfalto ricade o meno tra le attività contemplate negli allegati B e C alla Parte IV del T.U.A. , non ricorrendo le quali, il fresato di asfalto non è rifiuto, ma, comunque, affinché possa qualificarsi sottoprodotto devono verificarsi le condizioni poste dall’art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006 (inserito dall’art. 12 del D.Lgs. n. 205/2010): E’ un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:
a) La sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) È certo che la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) La sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) L’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
Cosa assai ardua e complessa è proprio constatare il verificarsi delle condizioni sopra elencate, al riguardo, la dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di rappresentare ed interpretare al meglio quanto posto dalla norma, ma, purtroppo, ad oggi non si hanno delle posizioni unitarie, naturalmente a danno degli operatori, i quali devono affrontare giornalmente il problema nell’incertezza della corretta osservanza della norma e soprattutto se, non qualificando il fresato di asfalto come “rifiuto” ma “sottoprodotto”, siano state rispettate tutte le condizioni poste.
Conferma di tali osservazioni si hanno dalla sentenza della Cassazione, Sezione 3 penale, n. 7374 del 24 febbraio 2012, nella quale si contesta all’imputato il reato di cui all’art. 256, comma 1, lettera a), D.Lgs. 152/2006, per aver effettuato attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi, costituito da fresato di asfalto, “utilizzandolo nel processo produttivo di conglomerato bituminoso, in assenza di autorizzazione, il giudice escluse che si trattasse di sottoprodotto in quanto lo scarificato del manto stradale subiva un processo di trasformazione e trattamento per la produzione di conglomerato bituminoso” .
La Suprema Corte non accoglie il ricorso ritenendolo infondato, ribadendo che, non ricorrevano le condizioni poste dal citato art. 184-bis, considerando il fresato di asfalto “rifiuto” per averlo sottoposto a propedeutiche “operazioni di recupero… e che erano necessarie ulteriori trasformazioni e trattamenti, tramite apposito impianto … prima di essere immesso nella produzione di ulteriore conglomerato bituminoso vergine”; continua la S.C. che, “anche qualora questo ulteriore trattamento non fosse diverso dalla normale pratica industriale, … non sussiste comunque il requisito della lettera a), perché non si tratta di sostanza o di oggetto originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante.”
… A questo punto si riapre la diatriba,  urge un’interpretazione autentica della norma!

A cura di Luca D’Alessandris
fonte http://www.ambiente.it/informazione/focus-on/fresato-di-asfalto-rifiuto-o-sottoprodotto-la-storia-continua/

DiGiovanna Di Mauro

Trasporto dei rifiuti in forma ambulante

L’art. 266, comma 5, D.Lgs. 152/2006 prevede : “Le disposizioni di cui agli articoli 189, 190, 193 e 212 non si applicano alle attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante , limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio.”


Chi sono gli ambulanti dei rifiuti ?
Rispettando la definizione data dalla norma sul commercio (Legge 28 marzo 1991, n. 112 e s.m.i., D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 al cui Titolo X dispone in merito al “Commercio al dettaglio su aree pubbliche”)  sono coloro che  (art. 27) svolgono l’attività di vendita di merci al dettaglio …su aree pubbliche o private ad uso pubblico, tale commercio può essere svolto (art. 28) … su qualsiasi area  purché in forma itinerante.
La norma sul commercio ambulante prevede inoltre, che tali soggetti siano in possesso di:
–    Idonei requisiti professionali;
–    iscrizione alla CCIAA competente per territorio con indicazione delle merci oggetto del proprio  commercio di beni non alimentari (nello specifico rottami ferrosi e non, carta da macero, ecc..)  ;
–    un’autorizzazione rilasciata dalla Regione  o Comune di residenza.
L’autorizzazione abilita per tutto il territorio nazionale.
Ne deriva un esplicito esonero da:
–    Tenuta del registro di carico e scarico;
–    Documento accompagnatorio durante il trasporto ( F.I.R.) ;
–    Dichiarazione annuale M.U.D. ;
–    Iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali.
Affinché tale disposizione possa attuarsi, è però indispensabile rispettare la normativa sul commercio ambulante, alla quale rimanda incondizionatamente  senza farne un esplicito riferimento, demandando agli operatori del settore la ricerca delle norme nazionali e Testi Unici Regionali di attuazione.
Il commercio al dettaglio è così definito dall’art. 4, D.Lgs. 114/1998 : “l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione , direttamente al consumatore finale”; l’attuazione di tale norma avviene con norma regionale in ambito commerciale, assimilando le merci di largo consumo destinate all’utilizzo diretto del consumatore, ai rifiuti non pericolosi, spesso costituiti da rottami ferrosi, carta da macero, rifiuti plastici, ecc., raccolti dagli ambulanti e provenienti anche da abbandoni lungo le strade o aree private, che hanno un valore commerciale, e sono destinati al recupero presso impianti di trattamento, prevedendo una loro trasformazione prima del loro riutilizzo.
La giurisprudenza si è più volte espressa a tale riguardo, ex multis la Cassazione con sentenza n. 25252 del 16/05/2012 – Ric. Bertero F. , con la quale rigetta il ricorso del ricorrente, approvando di fatto la sentenza del Tribunale di Asti emessa il 19/04/2011,  che condannava l’imputato per il reato di cui all’art. 256, comma 1, D.Lgs. 152/2006 per avere, in assenza della prescritta autorizzazione, effettuato attività di raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da rottami ferrosi in genere, autorizzazione prescritta dall’art. 212, comma 5, D.Lgs. 152/2006, deducendone quindi, la non applicazione delle sanzioni amministrative previste per la violazione della norma sul commercio ambulante ex art. 29, del D.Lgs 114/1998, per assenza della prescritta autorizzazione comunale e registrazione alla CCIAA ex art. 266, comma 5, D.Lgs. 152/2006.
Pertanto, nell’elaborare la finzione giuridica, il legislatore ha immaginato dei soggetti (c.d. stracciaroli , cenciaioli e ferro vecchi )  che rivendessero rifiuti  al dettaglio, nelle pubbliche vie ed in forma itinerante, così come avviene per gli ambulanti di generi alimentari o altri beni  di largo consumo, esonerandoli da qualsivoglia adempimento amministrativo (iscrizione all’albo nazionale gestori ambientali, garanzie finanziarie a favore del Ministero Ambiente e Territorio, rispetto dei requisiti soggettivi, tecnici e finanziari, perizia del mezzo di trasporto, nomina del Responsabile Tecnico, ecc..) , previsto invece per coloro che trasportano professionalmente i rifiuti per conto di terzi, a tutto disprezzo della tutela ambientale.

A cura di Luca D’Alessandris
fonte http://www.ambiente.it/informazione/focus-on/trasporto-dei-rifiuti-in-forma-ambulante/