Nuovi tasselli si aggiungono alla possibile soluzione del paradosso dello “Xenon (Xe) mancante”, ovvero l’ancora irrisolto problema dell’assenza di una cospicua quantità di questo elemento dall’atmosfera terrestre, presente in natura in forma di gas nobile. Un “giallo” che ha stimolato l’attenzione di studiosi di diverse discipline negli ultimi decenni e che giunge a un punto di svolta grazie allo studio di un team internazionale, guidato da Artem Oganov della Stony Brook University e che include l’italiano Carlo Gatti, ricercatore presso l’Istituto di scienze e tecnologie molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Istm-Cnr).
Nel nuovo studio, pubblicato su ‘Nature Chemistry’, si ipotizza che il gas Xe sia ‘imprigionato’ nelle viscere della Terra. “La scoperta rappresenta un possibile punto di svolta nella spiegazione di questo paradosso scientifico e apre nuove prospettive rispetto al comportamento chimico dello Xenon e alla sua reattività”, spiega Gatti. “Il lavoro pubblicato infatti dimostra che tale gas, pressoché inerte in condizioni ambientali, è in grado di creare legami chimici, costituendo composti quali ossidi e silicati, a patto che si trovi ad una pressione atmosferica di almeno 830mila atmosfere, quale quella che si manifesta spontaneamente all’interno del mantello terrestre”.
L’ipotesi è quindi che lo Xenon sia stato ‘imprigionato’ nelle viscere della Terra, “dove potrebbe legarsi in composti solidi semi-stabili, questo spiegherebbe perché la presenza nell’atmosfera sia di un ordine di grandezza circa mille volte inferiore rispetto alla quantità prevista dai modelli chimici presi in considerazione”, prosegue Gatti, avvertendo: “Gli ossidi di Xe però, contrariamente a quanto dimostrato nell’esperimento, risultano instabili a contatto con il ferro metallico del mantello, mentre i silicati dello stesso elemento si decompongono a tutte le pressioni inferiori a 1 milione e 360mila atmosfere, che non sono raggiungibili entro i confini del mantello”.
Lo studio suggerisce quindi una seconda possibilità. “Visto che ora sappiamo che sotto pressione lo Xenon può formare legami chimici forti con gli atomi di ossigeno o silicio”, conclude il ricercatore, “è plausibile che gli atomi di Xenon possano rimanere ‘intrappolati’, come impurità, nei difetti e nei bordi di grano dei minerali e delle rocce del mantello o fungere da ‘tappi’ negli strati di silicati ivi presenti quando gli strati non sono perfettamente sovrapposti”.
V.R.
fonte http://www.chimici.info/Il-paradosso-dello-Xenon-scomparso-verso-la-soluzione_news_x_13590.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter_chimici_46_20_12_2012